Dialogo con Anna, Responsabile Servizio Civile Universale di ASPEm

In occasione della promozione del bando di Servizio Civile Universale di quest’anno, abbiamo pensato di proporvi un ciclo di testimonianze dellə nostrə volontariə direttamente dal campo, per aiutare potenziali candidatə a capire meglio questa esperienza tramite le parole di chi la sta vivendo in prima persona.

Siamo alla ricerca di 63 volontariə civilistə!

Puoi trovare tutte le schede dei progetti di ASPEm in questa pagina e scaricare qui il bando di quest’anno

Puoi candidarti su domandaonline.serviziocivile.it entro le 14.00 del 18/02/2025. 

Per inaugurare questo ciclo, abbiamo fatto una chiacchierata con Anna Mauri, Responsabile Servizio Civile Universale per ASPEm:

Ciao, per chi non ti conosce, chi sei e di cosa ti occupi? 

Ciao! Sono Anna e mi occupo del coordinamento delle persone volontarie in servizio Civile Universale in carico ad ASPEm. 

Come hai conosciuto questo mondo? Come hai iniziato a lavorare per ASPEm? 

A dirla tutta è una realtà che è sempre stata parte della mia vita, proprio una parte di me: oggi vivo in Bolivia con mio marito che, quando ho conosciuto, lavorava per loro ma soprattutto mia mamma è stata una delle persone firmatarie della carta costituente dell’associazione e mi ha sempre parlato e coinvolto, direttamente o indirettamente, nel suo vissuto quotidiano di questa realtà. 

Come è nata l’idea di lasciare casa e trasferirsi dall’altra parte del mondo? 

È stato improvviso, si è presentata questa opportunità lavorativa e nel giro di 3-4 mesi ho dovuto decidere e pianificare il trasferimento con mio marito e i miei figli; è stato un salto nel buio, ma sono soddisfatta del percorso fatto fino ad oggi e so che rimarrò in Bolivia fino al 2025. Sicuramente il mio interesse per l’America Latina, l’interesse in famiglia con ASPEm, l’affinità culturale con le Americhe e la mia precedente esperienza di volontariato in Messico hanno giocato un ruolo determinate e facilitante nel decidere di intraprendere questa avventura di vita all’estero per me e la mia famiglia. 

Raccontaci di questa tua esperienza in Messico, siamo curiosi! 

È iniziato tutto a 18 anni con il Coordinamento Comasco per la Pace, che all’epoca organizzava la Scuola dei Diritti Umani nelle scuole superiori: mi mandarono sei mesi in Messico, nello specifico in Chiapas, uno dei suoi stati più poveri ed in cui all’epoca era molto forte il Movimento Zapatista, che aveva messo da parte le armi per diventare movimento sociale e nella cui anima è fondante la presenza dell’indipendenza indigena, tema che ho molto a cuore. 

Come si svolge il tuo lavoro in Bolivia? 

Lavoro a diretto contatto con lə volontariə, tenendo la relazione e mantenendo un monitoraggio costante. Sono la prima persona di riferimento di ASPEm per loro; quest’anno sono 39 ragazzə, tra Bolivia, Perù e Guatemala. L’anno prossimo saranno 63 e oltre ai paesi già citati, andranno anche in Colombia e Marocco. C’è tanto lavoro di relazione e coordinamento: seguo l’annualità del progetto e mantengo una visione d’insieme, partendo dall’uscita del bando, passando per la selezione, proseguendo con la formazione fino poi alla missione pratica. Ovviamente altre persone mi danno una mano e componiamo insieme una struttura ben salda a supporto dellə civilistə. Lə seguo passo passo dalla burocrazia, dai fogli firma ai colloqui con loro e con i partner, per sincerarmi che tutto vada al meglio e su cosa si possa eventualmente migliorare in corso d’opera. In breve, tento di avere una visione di insieme su tutte le sedi di servizio.

E come si compone una tua giornata tipo? 

Inizio dalla classica lettura delle email, rispondo ai messaggi di coordinamento con la sede centrale di ASPEm, tengo riunioni quotidiane con l’Italia (tenendo conto del fuso orario, 5 ore indietro in Bolivia) e tutti i partner locali e lə civilistə. Nel monitoraggio si può passare da un mio classico “va tutto bene?” al loro “mi è successa questa cosa e vorrei chiedere consiglio”. 

Hai citato il dietro le quinte annuale del Servizio Civile Universale: dopo l’organizzazione, c’è l’apertura del bando, poi iniziano le selezioni, i colloqui e in seguito le formazioni; c’è una fase che ti coinvolge maggiormente? Come ti dividi tra tutto questo? 

Indubbiamente i colloqui: chi si candida ha mediamente 30-40 minuti e li sfrutta al massimo per giocarsi le proprie carte. Ne escono momenti tanto appassionanti quanto sfinenti per l’attenzione massima che ogni singola persona merita e richiede! Durante la fase di formazione invece ci teniamo che le persone selezionate possano conoscere personalmente tutti i componenti di ASPEm (e viceversa); riteniamo sia fondamentale e che faccia una differenza sostanziale che chi è in partenza possa dare un volto ed un contatto umano a tutte le persone che lo supporteranno da dietro le quinte per tutto il percorso del Servizio Civile Universale. 

Possiamo dire che lə volontariə civilistə sono il cuore al centro delle missioni di ASPEm; quali qualità ritenete siano più rilevanti per chi parte? 

Sicuramente una forte umiltà facilita molto l’impatto con la fisiologica barriera culturale che si incontra nei paesi di intervento. Ma anche essere adattabili alle sfide o alle aspettative inattese; ci sono cose sulle quali possiamo cercare di preparare chi partirà, ma che presentano un incolmabile scarto di percezione rispetto a quanto si vivrà direttamente; un esempio per spiegare cosa intendo può essere il caldo, in alcune zone: molte persone partono sapendo che andranno in contro a temperature molto elevate, ma quando si trovano sul posto riportano comunque con molta sorpresa quanto caldo e afa siano impattanti per la loro quotidianità; questo aneddoto, oltre ai sorrisi, porta comunque una doverosa riflessione anche all’aspetto di sopportazione fisica che un’esperienza del genere porta con sé. Consiglio poi a livello interiore di partire mettendo da parte tutti quei “io vorrei, io credo, io sono”, cercando di rimanere più apertə possibile all’incontro con un mondo nuovo e probabilmente diverso per molti aspetti dalla propria realtà, dai propri modi di essere e fare, dai propri valori e dalla propria organizzazione, anche solo della quotidianità. Non aspettarsi con sicurezza qualcosa ma rendersi recettivi, di modo che se anche al primo impatto qualcosa ci destabilizza, questo non impatti negativamente sul nostro adattamento alla missione. Cercare di mantenersi umili agevola l’inserimento in un contesto culturale che non è il proprio e non si conosce nel quotidiano; fare due passi indietro per entrare in relazione. Capitano anche caratteri dai forti valori, ma quando sei dall’altra parte del mondo è naturale metterli un po’ da parte e metterti in discussione. Essere recettivi aiuta all’adattamento. 

Puoi spiegarci meglio? 

Tempo fa è capitato un particolare gruppo, molto affiatato, dai facili entusiasmi e che si aiutava molto. Questo aspetto, oltre ad avermi indubbiamente facilitato il lavoro, mi ha affascinata: nel senso che il gruppo risultava poi particolarmente “preso bene” per quello che stava facendo e se in qualche momento chi ne faceva parte non si sentiva contentə al 100%, riusciva sempre a trovare altri aspetti del momento che lə motivasse. Per trovare un termine, direi che c’era molta proattività! Certo, non è sempre facile e non sarebbe umano aspettarsi che lo sia, ci sono situazioni, soggettive e oggettive, che vengono lasciate in Italia e che possono dare pensiero per l’intera durata della missione, se non pienamente risolte o elaborate. 

Dalle tue parole si percepiscono tanta cura e passione ma anche soddisfazione! 

Assolutamente si! È molto bello soprattutto quando lə ragazzə a fine servizio ti mostrano riconoscenza. Noi, come ASPEm, facciamo tanto lavoro che non si vede a primo impatto… quando questo viene notato restituisce un enorme senso di gratificazione! Ma oserei dire che è anche il nostro valore aggiunto: dietro ogni singola persona volontaria, ogni singola esperienza, c’è una rete oltre a me, che cura tutto il processo, che cerca i partner, che crea le opportunità per i viaggi, che mantiene la relazioni e che permette tutto questo.

In chiusura, un tema che ricorre sempre più frequentemente, parlando di Servizio Civile Universale, riguarda le “porte lavorative” che questo può aprire al termine dell’impiego; come vedi la questione in relazione a queste missioni in un paese lontano?

Personalmente, ritengo che l’aspetto lavorativo non dovrebbe essere l’interesse primario per affrontare un’esperienza come questa, ma sicuramente il Servizio Civile Universale è uno strumento che è cambiato molto negli anni: se prima aveva una forte spinta valoriale di volontariato, è vero anche che negli anni si è molto professionalizzato. Molte più figure “tecnicamente preparate” si candidano, ma poi entrano in gioco molti altri aspetti per quello che sarà un impiego di 12 mesi in un paese lontano dal proprio; dal punto di vista lavorativo, consiglierei l’esperienza a chi è interessato a lavorare nel mondo della cooperazione internazionale, meno, ma ovviamente non escludo assolutamente, a chi ha orientamenti professionalizzanti diversi. Mi immagino, per esempio, una ragazza che si vede esercitare la professione di psicologa a Cajamarca nelle Ande peruviane… indubbiamente farà un’esperienza bellissima, ma le dovranno andare bene molte cose che non c’entrano con l’esperienza lavorativa: trovarsi in un altro contesto, un altro modo di lavorare; le dovranno andare bene gli aspetti culturali e organizzativi, a volte frustranti, le dovrà andare bene che questi ultimi siano diversi da quelli cui è abituata e che ha studiato in Italia. Ma penso anche ad un agronomo che magari si immagina un determinato percorso professionale e poi, impiegato sul posto, si trova a svolgere opere più fondamentali e basilari di quelle immaginate. Dal punto di vista umano e di crescita personale, invece, è un’esperienza che consiglio a chiunque. Insisto sull’aspetto delle barriere culturali, perché sono davvero la prima cosa che intrinsecamente risalta al primo contatto con un mondo nuovo. Capita spesso che, dopo i primi mesi di Servizio, molte persone sperimentano un cambiamento di prospettiva riguardo le dinamiche organizzative: “Sono disorganizzati” diventa, col tempo, “sono organizzati in maniera diversa”, il che è verissimo, ed è una dinamica evidente sin dall’approccio ai problemi quotidiani, per i quali in molti paesi d’intervento è culturalmente normale tendere a privilegiare soluzioni più informali e/o temporanee rispetto a quelle a cui siamo abituatə in Italia.

Grazie Anna per questo prezioso sguardo che ci hai concesso sul tuo mondo!

Grazie a voi!
Ed un grosso in bocca al lupo a chi si candiderà per il Servizio Civile Universale quest’anno!

Abbiamo in programma alcuni Webinar informativi con CELIM Milano e COE ETS, per presentare insieme i progetti delle nostre organizzazioni e rispondere alle domande delle persone interessate a candidarsi: salva le date nel tuo calendario e partecipa tramite Zoom cliccando qui! Di seguito le date:

Per informazioni aggiuntive scrivici, a serviziocivile@aspem.org, o visita i siti:
www.focsiv.it
www.politichegiovanili.gov.it